Nemo

L’orto di Nemo, agricoltura tech sotto il mare

In vista dell’imminente incontro con gli esperti della Cooperativa Primo Principio sulle Tecnologie Abilitanti per un’agricoltura sostenibile, previsto per #Campdigrano, summer school del progetto di ricerca Rural Hub, pubblichiamo la traduzione dell’articolo appena uscito sul Washington Post, dal titolo The world’s most beautiful greenhouses are underwater, and growing strawberriessul progetto Nemo’s Garden – L’Orto di Nemo – dell’italiano Sergio Gamberini. Un’idea visionaria per coltivazioni agricole sostenibili… sotto il mare!


L’aria della serra è pari a 79 gradi con un tasso di umidità intorno al 83%. Questo è un buon ambiente per un impianto. Ma non si tratta di una normale serra: si trova a 20 piedi sotto l’acqua, ancorata al fondo del mare al largo della costa di Noli, in Italia.

Si tratta del Nemo’s Garden, un progetto sperimentale del gruppo a conduzione familiare Ocean Reef giunto ormai al quarto anno.

Le biosfere a palloncino sfruttano le proprietà naturali del mare per far crescere le piante. Le temperature subacquee sono costanti e la forma delle serre permette un’evaporazione costante dell’acqua per rifornire le piante. In più, le grandi quantità di anidride carbonica agiscono come steroidi per le piante, facendole crescere a ritmi molto rapidi.

Ocean Reef Group sta monitorando 5 biosfere-palloncino che ospitano numerose piante, come basilico, lattuga, fragole e fagioli. Il gruppo ha un brevetto sulle strutture e progetta di costruirne altre per sperimentare altre colture, come i funghi, che dovrebbero prosperare in un ambiente umido.

Sergio Gamberini, il presidente di Ocean Reef Group, ha avuto la pazza idea di coltivare piante sotto il mare durante una vacanza estiva in Italia e, dopo un paio di telefonate, ha iniziato a sperimentare, immergendo le biosfere trasparenti piene d’aria sotto l’oceano.

“Cerco di fare qualcosa di un po’ diverso anche per mostrare la bellezza del mare”, ha detto Gamberini, “spero di fare qualcosa per i giovani e di ispirare nuovi sogni.”

Due anni – qualche brutta tempesta – più tardi, la società resta con la propria flotta di biosfere ancorata al fondo marino, monitorata in streaming web attraverso sensori che raccolgono dati in tempo reale sui livelli di ossigeno e anidride carbonica. “È stata una curva di apprendimento”, ha detto il figlio di Sergio, Luca Gamberini, “abbiamo perso completamente i raccolti quattro volte, ma non è davvero un problema perché abbiamo elevati tassi di crescita”.

La società vanta una buona produzione agricola ogni anno, nonostante le difficoltà. E pur non avendo ancora venduto i prodotti, la moglie di Sergio Gamberini ha già impiegato il basilico per fare il pesto.

La speranza è che il successo dell’azienda possa gettare le basi per una nuova forma di produzione di colture realizzabile senza danneggiare l’ambiente.

Infatti, le biosfere stanno attirando la fauna selvatica: i polpi sembrano gradirle rifugiandosi sotto le strutture, e i cavallucci marini in via di estinzione si sono riuniti sotto le biosfere sviluppando vivai. Finora, nessuno degli animali ha costituito una minaccia per le piante.

“È quasi fantascientifico vedere come queste due differenti forme di vita interagiscono”, ha detto Luca Gamberini.

In questo momento, il gruppo è in grado di impostare le biosfere per quattro mesi l’anno, da maggio a settembre, come consentito dagli accordi con il governo locale.

Ciò potrebbe cambiare nel tempo, ma al momento, il progetto è fornire informazioni per una nuovo settore: la crescita delle piante sott’acqua. Essendo una piccola azienda, Ocean Reef Group non è in grado di investire oltre in ricerca e sviluppo, e Luca Gamberini ha già annunciato che conta sul sostegno di partners per andare avanti. L’azienda sta inoltre progettando di lanciare una campagna di crowdfunding la prossima settimana per sostenere l’ulteriore sviluppo.

La società prevede di lanciare una versione più piccola delle biosfere da sperimentare nelle proprie case, con la speranza che un uso più ampio della tecnologia possa portare a nuove intuizioni.

Ma i piani non si fermano qui.

“In futuro, sarà sicuramente un progetto economicamente sostenibile”, Luca Gamberini, ha detto, “si intravedono già le possibilità per i paesi in via di sviluppo in cui condizioni climatiche ostili rendono difficile alle piante crescere.”

L’azienda ha già ricevuto proposte da parte di gruppi e paesi che desiderano diffondere il progetto, ma finora ha rifiutato di venderlo.

“E ‘incredibile il grande entusiasmo che circonda il nostro progetto”, ha detto Sergio Gamberini, “vogliamo testarlo perché vogliamo realizzare un progetto professionale. E vogliamo farlo nel modo giusto.”


Che ne pensate? Quali possono essere gli impatti generati da un simile approccio? Possiamo considerarla una risposta resiliente alle sfide del cambiamento climatico e, soprattutto, alle esigenze della triple bottom line (People-Planet-Profit)?

 

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