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Potere e controllo nell’economia peer to peer. Nick Grossman @OuiShareFest 2015

In vista del OuiShare Summit #7 a Calvanico (SA), previsto dal 24 al 28 giugno presso la sede del collettivo di ricerca Rural Hub, ci regaliamo la traduzione del recente contributo di Nick Grossman @ OuiShareFest 2015, l’evento da poco concluso a Parigi che annualmente riunisce la comunità globale dell’economia collaborativa per tre giorni di incontri, discussione e co-creazione.

Molti dei temi affrontati da Grossman, e delle proposte avanzate dalla comunità di OuiShare a Parigi, saranno oggetto di riflessione nelle giornate di studio e confronto successive al Summit, in occasione del CommonsCamp, dal 29 giugno al 10 luglio. Tre i laboratori previsti per sviluppare connessioni tra makers e permacultori, hackers e biohackers, ricercatori e artisti, amministratori locali e innovatori sociali: Collaborative Territories Lab, Rural Making Lab, Bio Commons Lab.


 

Sono a Parigi questa settimana per OuiShareFest, e ho parlato ieri mattina durante la sessione di apertura. OuiShareFest, giunto al suo terzo anno e realizzato dall’organizzazione comunitaria OuiShare, è un grande raduno internazionale di attivisti per una società paritaria/collaborativa/condivisa/connessa.

Il tema del festival di quest’anno è Lost in Transition (ndr. “smarrito nella transizione”, parafrasi del titolo “Lost in Traslation”, film del 2003), e la sensazione che prevale qui, nella comunità, è una crescente preoccupazione per il rapporto tra le piattaforme dell’economia peer to peer e i partecipanti, in particolare per quanto riguarda la distribuzione del valore, il potere di controllo, etc. In verità, non è una gran sorpresa, considerati gli enormi finanziamenti e le valutazioni sconcertanti che molte delle piattaforme aziendali in quest’ambito stanno tirando su.

Allo stesso tempo, la crescita della Blockchain come piattaforma applicativa ha messo un sacco di persone (inclusi noi di USV) in condizione di disporre di una pratica, funzionale alternativa ai servizi web centralizzati.

Così, mi sembra di capire che mentre l’umore del primo OuiShareFest nel 2012 era sfacciatamente elettrizzato per l’economia peer to peer in tutte le sue forme, quello di quest’anno è assai più pensoso e riflessivo, circa le dinamiche di potere costruite a partire dalle piattaforme web e, in particolare, circa il loro rapporto con il potere costituito, sotto forma di investimenti finanziari.

Per il mio discorso, ho voluto prendere questa questione di petto, collocarla in una prospettiva storica e aiutare la gente a ragionare pragmaticamente su quali scenari potrebbero prodursi in futuro e su come arrivarci.

Il titolo “Venture Capital vs Community Capital” è volutamente provocatorio.

L’argomento che voglio sollevare è che, ovviamente, qui c’è una tensione, ma non si tratta di una dinamica del tutto nuova, di un ultimatum, o di un gioco a somma zero.

Piuttosto, essa fa parte di uno schema ricorrente nella storia della tecnologia, che possiamo vedere risalendo lungo i decenni (se non più a lungo). Da questa prospettiva storica, possiamo vedere i modelli di questo ciclo e usarli per capire dove rintracciare le opportunità più valide in questa fase.

Ma prima, voglio sottolineare che il motivo per cui siamo tutti qui è che noi crediamo nella forza delle reti – della società connessa – di ampliare le conoscenze, fornire opportunità economiche e risolvere grandi problemi (energia, sanità, istruzione, etc.), in modi che non sarebbero stati possibili prima.

 

Giusto prima del mio intervento al OuiShareFest, Robin Chase è andato oltre e ha rivolto un appello, per tutti noi irresistibile, a cercare di trovare in rete, soluzioni scalabili (sia finanziate da venture capital che da comunità) ai più grandi problemi che affliggono il pianeta oggi, il più grande dei quali rappresentato dal cambiamento climatico. Io sono fermamente convinto che questo modello continuerà ad avere profonde e forti ripercussioni su come viviamo, come lavoriamo, come apprendiamo, e su ciò che facciamo, e che siamo ancora alle primissime fasi.

Ma, man mano che prendiamo sempre maggiore familiarità con questo modello, cominciamo a prestare maggiore attenzione alla particolare architettura di queste reti, e alle dinamiche di potere annesse.

 

1 / Qual è il problema (ovvero l’opportunità)

Pertanto, il problema che molti qui hanno individuato è una crescente preoccupazione per lo squilibrio di potere tra le piattaforme dell’economia peer e i partecipanti che le supportano, tanto più che le piattaforme più mature (Airbnb e Uber sono l’elefante nella stanza, ma ce ne saranno molte di più) stanno diventando aziende molto grandi, ricche e potenti.

Essenzialmente si tratta di una questione di fiducia. E, in particolare, nel caso di piattaforme dell’economia peer e lavoratori, si tratta di un problema di economia e di controllo. Una maniera di approcciare il problema sta nel riflettere su come questo ambiente è cresciuto, dal momento che le piattaforme hanno la tendenza a “ispessirsi” – a fare di più, prendere più, esercitare un maggiore controllo. Quindi, la questione diventa: i partecipanti stanno ottenendo un trattamento equo, hanno essi cioè un’adeguata quota di libertà e di controllo? Cresce la consapevolezza che potrebbe non essere così, e che ci sia bisogno di ricercare architetture alternative.

Sebbene ciò possa spaventare molti osservatori del settore (dell’economia peer, ndr.), in particolare coloro i quali provengono da prospettive legate all’interesse pubblico, non dovremmo sorprenderci di vedere che ciò possa succedere. Piuttosto, è ciò che succede sempre quando le aziende esplorano nuovi spazi e stabiliscono modelli di business profittevoli.

Quindi, anziché guardare a questo fenomeno semplicemente come a un problema del tutto nuovo da risolvere oggi, è più utile vederlo come ennesima fase in un ciclo ricorrente, che presenta assieme sfide e opportunità note.

Guardando alla storia delle grandi piattaforme tecnologiche negli ultimi 30 anni o giù di lì, possiamo vedere il ripetersi di questo ciclo (n.b. questo schema non intende essere esaustivo o completo):

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[n.b. le caselle verdi sono aziende, e le bolle blu sono tecnologie open come i free software e i protocolli aperti – vale a dire, rispettivamente, venture capital e community capital]

 

IBM e AT&T una volta avevano il monopolio, rispettivamente, del PC e della rete telefonica, poi resi accessibili dai PC cloni e dai modem che superarono il primato della rete telefonica (per non parlare dello smembramento statale della AT&T) .

Successivamente, Microsoft ha avuto l’esclusiva del software per PC tramite Windows e Office, e AOL (con Prodigy, CompuServe, etc.) quella del commercio online. E questo stato delle cose è andato avanti fino alla proliferazione di Linux e IP protocol stack, che bucarono il sistema operativo desktop OS Microsoft, così come il giardino recintato di AOL, regalandoci l’Internet open.

Poi, in cima a quella piattaforma recentemente aperta, gli attuali leader del web (Facebook, Google, Amazon, Twitter, etc) e del mobile (Apple, Google, Xaomi) hanno costruito il proprio business. Vale la pena notare che, con l’eccezione di Android, non è stato praticato un buco veramente significativo nelle posizioni di mercato pure contestate di questa generazione di aziende (anche se ci sono stati tentativi, come Diaspora per Facebook e Twitter per Pump.io )

Infine, siamo giunti alle attuali piattaforme di peer/sharing/collaborative economy. Che sono le nuove, e contestate, società finanziate dai venture-capital che costruiscono quella che diventerà la prossima generazione di potenti operatori storici. E ciò mentre assistevamo alla gestazione di protocolli aperti che sfidano direttamente il loro potere (come il protocollo La’Zooz ridesharing): il tutto in modo estremamente precoce.

Allora, il modello è: le aziende tech costruiscono posizioni dominanti sul mercato, quindi emergono tecnologie open che erodono il potere di controllo delle aziende tech (a volte si tratta di una ribellione, e di ribellione organizzata, contro questo potere corporate, e a volte è qualcosa di più di un “felice incidente” come la nascita del World Wide Web). Queste tecnologie open, poi, a loro volta diventano la piattaforma su cui si edifica la generazione successiva di società finanziate dal venture capital. E così via, e così via; “risciacqua e ripeti” (ndr. espressione idiomatica per indicare il ripetersi senza fine degli stessi passaggi di una dinamica).

E tutto ciò per dire che non è una cosa nuova. E che considerare questa fase come parte di uno schema può aiutarci a capire che come comportarci, e da dove le successive opportunità potrebbero emergere.

 

1 / Come arrivarci

Dato il momento attuale del ciclo – in cui abbiamo un numero limitato di piattaforme grandi e potenti in alcuni settori, e un crescente senso di disagio relativo a quel potere – come potrebbero riuscire le persone che influenzano il cambiamento?

In questa sezione, voglio proprio sottolineare la questione del “come ci si arriva” più che quella del “a che cosa potrebbe somigliare un’architettura alternativa”. È abbastanza facile immaginare un “Uber di proprietà dell’autista” (come molte persone qui hanno suggerito) nella sua forma più pienamente realizzata, ma è ben più difficile pensare a come una cosa del genere potrebbe accadere. La storia della tecnologia è disseminata di tentativi falliti di rimpiazzare i sistemi chiusi/proprietari con quelli open.

Ecco, io ora vi segnalo quattro idee che possono essere d’aiuto nel ragionamento:

 

“La convenienza trionfa su quasi tutto” (Steve O’Grady, analista di Red Monk)

Oggi alla OuiShareFest, Aral Balkan di Ind.ie ha parlato del fallimento più grande del movimento open source nel corso degli ultimi decenni: sacrificare l’usabilità e l’esperienza a breve termine per libertà a lungo termine (e astratte per la maggior parte delle persone). Ha inquadrato il problema del come “il rispetto per l’esperienza” e “il rispetto per l’utilità” (o qualcosa del genere), siano i due valori da associare al rispetto dei diritti umani. Sono d’accordo, e chiunque sia in questo ambiente potrà notare il fallimento dei precedenti tentativi di piattaforme aperte che semplicemente non erano abbastanza usabili (per esempio, OpenID).

 

“L’effetto Lindy è reale. La rottura è rara. Ma esiste ed è causata da cambiamenti non lineari nella tecnologia.” (Albert Wenger, USV)

Il mio collega Albert discute l’effetto Lindy: l’idea che ogni giorno in più che un’idea di piattaforma esiste essa prolunghi la sua durata complessiva prevista. In altre parole, tecnologie e idee hanno un impulso: più a lungo sono in giro, più a lungo rimarranno in giro. È possibile “interromperle”, ma ciò richiede un cambiamento di tecnologia profondo e non lineare. E anche allora, non spariscono durante la notte. Ad esempio, Microsoft ha subito due decenni di scardinamento dal web – prima contro Windows come sistema operativo dominante, e quindi contro Office come corredo dominante di produttività – eppure, è ancora vivo e vegeto. Cioè l’azione di disturbo che ha sfidato Microsoft non lo ha messo fuori dal mercato, ma ha reso il mercato accessibile a molti, molti, molti altri. Osservando la realtà attuale, Uber chiaramente non sta andando da nessuna parte, anche se le sfide “open” a Uber potrebbero aprire il mercato per gli altri.

A mio parere il cambiamento non lineare nella tecnologia con il più grande potenziale di sfida per le piattaforme già presenti sul mercato oggi è la Blockchain (e le tecnologie decentrate correlate), che è nella fase di estrazione dei dati da applicazioni web e mobile (più sopra che sotto).

 

“Il tuo limite è la mia opportunità” (Jeff Bezos)

Questa idea così profonda non è nuova al mondo degli affari, ma è comunque istruttiva per le nuove tecnologie che cercano di competere con gli operatori in carica. Lungo la stessa linea di “la convenienza vince su tutto”, ci sono le questioni relative ai costi. Per esempio, recentemente ho incontrato un imprenditore/hacker della blockchain che era furibondo per il margine che Etsy preleva dalle transazioni (e per la maggior parte delle persone Etsy è tanto il coniglietto lanuginoso che puoi avere che una grande piattaforma web).

 

La prima operazione in un block è una transazione speciale che dà origine a una nuova moneta di proprietà del creatore del block” (Satoshi Nakamoto) 

Si tratta di una riga presa dal documento ufficiale originale sui Bitcoin (Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System, by Satoshi Nakamoto) e io la riporto qui a sottolineare l’importanza di forti incentivi nella distribuzione di tecnologie aperte. Ci sono due innovazioni principali nei Bitcoin: 1. la periferia, come registro aperto; e 2. l’incentivo finanziario che spinge i partecipanti a cooperare: le miniere di bitcoin.

Nella misura in cui questo modello di incentivazione alla cooperazione fosse esteso in altre direzioni, saremmo su qualcosa di grosso.

 

3 / Che cosa stiamo cercando

Considerato quanto detto, ecco qui alcune cose che stiamo cercando a USV (ndr. Union Square Ventures):

  • Piattaforme collaborative in settori vergini

Al primo punto circa il valore delle reti (per la società), consideriamo che sono davvero molti i settori importanti ancora operanti sotto modelli gerarchici burocratici inefficienti, eppure sufficientemente maturi per essere riprogettati in strutture di rete (sto pensando a energia, sanità, istruzione, e a molti altri).

Ho il sospetto che questi settori saranno sviluppati da reti “tradizionali” (ad esempio, reti centralizzate, finanziate dal venture capital), dal momento che queste sono in grado di muoversi più in fretta, sperimentare nuovi modelli (spesso fallendo), e aiutare a formare settori e culture sul modello di rete possibile.

  • Servizi di sostegno dei lavoratori

Una delle principali preoccupazioni circa il crescente potere delle piattaforme web (in particolare, nell’economia collaborativa/condivisa) riguarda il potere dei lavoratori. Stiamo già cominciando a veder emergere piattaforme al servizio dei lavoratori in questo ambiente (come SherpaShare, Coworker, Peers, lo stimato Freelancers Union, etc.) e ne vedremo molte e  molte altre qui.

La mia convinzione è che “l’unione 2.0” sarà una piattaforma, cioè ben più di un’organizzazione, e che il suo potere deriverà dalla mole di dati che sarà in grado di raggiungere sulle piattaforme che utilizzano i suoi lavoratori.

  • Piattaforme sottili

Un modo per sfidare le piattaforme “grosse” è quello di costruire piattaforme “sottili” che fanno meno, prendono meno, ed esercitano un minore controllo. Abbiamo investito in molte di queste (come DuckDuckGo rispetto a Google, Twitter rispetto a Facebook, Sidecar rispetto a Lyft, etc.) e ne cerchiamo altre. Spesso, essere “sottile” significa anche essere decentrato, in qualche modo, spingendo potere, economia e controllo ulteriormente ai margini.

  • Nuovi protocolli

Infine, i nuovi protocolli che ricostruiscono dalle fondamenta le architetture di potere, informazione e controllo. Grazie all’ispirazione proveniente da Bitcoin e Blockchain, ora c’è un enorme energia in quest’ambito. È solo l’inizio, ma ci fa sentire come se tutto ciò potesse diventare il prossimo “strato aperto” che spazza via l’ultima generazione di grandi imprese (vedi schema sopra), aprendo una crepa ancora più rilevante nel mercato.

A USV, abbiamo fatto una serie di piccoli investimenti in questo settore (OneName, e altre due che non abbiamo ancora annunciato), e ne cerchiamo ancora. Non è ancora chiaro dove il valore si accumuli a questo livello, e una gran parte potrebbe e dovrebbe rimanere come “capitale della comunità” nel sistema.

 

In conclusione, ci troviamo in un momento molto interessante, che vive la piena maturità delle grandi piattaforme web e mobile, la rapida espansione delle piattaforme peer/sharing/collaborative, e l’emergere di protocolli distribuiti. Tutto ciò ha sollevato problemi davvero interessanti su innovazione, problem-solving globale, economia e controllo, e senza dubbio la discussione, qui, avrà effetti a breve e a lungo termine su come e che cosa stiamo costruendo.

 

 

NGphoto

Nick Grossman è General Manager in Union Square Ventures (USV), società di venture capital, con sede a New York, che investe nel web e nelle piattaforme mobili. Oltre che occuparsi delle società in portfolio USV, Nick è esperto di politiche pubbliche e questioni normative che incidono sull’innovazione open e la salute del web. Collabora con MIT Media Lab, il Berkman Center for Internet & Society della Harvard University e il Data-Smart City Solutions presso la Kennedy School of Government di Harvard. Twitter: @nickgrossman

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