Cammino Silenzioso 3

Il cammino silenzioso – prima tappa

Sabato 24 ottobre alle 18.30 al Circolo Bandiera Bianca di ‪‎Contursi Terme (SA) si racconterà con immagini e testimonianze inedite “Il cammino silenzioso”, la meravigliosa avventura che ha attraversato a passo d’asino la Lucania del petrolio e della Madonna di Viggiano, il Meridione dello sfruttamento delle risorse e delle coscienze.

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Un pellegrinaggio intrapreso a maggio e ripartito il 2 settembre dall’Asineria EquinOtium di Atena Lucana, attraverso i Monti della Maddalena e la Val d’Agri, tra pozzi petroliferi e corsi d’acqua, per riaccompagnare, domenica 6 settembre, verso Viggiano, la Madonna delle Genti Lucane.

Da oggi, noi di Rural Hub ospitiamo a tappe, come si conviene, l’esperienza rigenerativa di un andare lento che è ricerca e riflessione, emozione e disincanto, “nei territori in cui più che mai sono sperimentabili nuovi percorsi, e nuovi e diversi gradi di apertura al mondo”.

Grazie a Simone Valitutto, Dario Marino, Ivan Di Palma, Vincenzo Pisapia.


LA TERRA DEI VIANDANTI SMARRITI 

[di Simone Valitutto]

 

Le porte scritte nfàcce
come vrósce daìnte.
Com’agghi’ ‘a fè, Maronna méie,
com’agghi’ ‘a fè?Albino Pierro, Le porte scritte nfàcce.

  

L’universo entra in tensione, ogni suo ambito diventa un centro di dissoluzione del significato, una dissoluzione che si allarga irresistibilmente e si comunica a sempre nuovi ambiti: è il crepitante dilagare di un incendio in una foresta e il rapido inesorabile restringersi del cerchio di fuoco intorno al viandante smarrito.

Ernesto de Martino, La fine del mondo.

 

– «Da dove venite?»
– «Atena Lucana.»
– «Addò iat?»
– «A’ Maronna ri Viggiano.»
– «Ccù i ciucc?»
– «Si, ccù i ciucc.»

 
“Chi siete”, “Dove andate”, “A chi appartenete”.

Siamo nuovi pellegrini sui passi della strada antica.

Rispondendo alle tre domande fondamentali rivolte ai forestieri, solo ora, al ritorno a casa dal Cammino silenzioso, riordino sommariamente le impressioni su cosa significa attraversare lo spazio segnato dal proprio sguardo, smarrendovici.

All’interlocutore bastano le risposte alle prime tre domande per capire che parliamo la stessa lingua, e diventiamo lucani, anche se qualcuno di noi lucano non lo è. Le motivazioni di questa scelta di cammino, invece, a chi abbiamo incontrato per strada non importa saperle, non sono necessarie perché chi va alla Madonna delle Genti Lucane lo fa per incontrare Maria e chiederle una grazia.

Il Cammino silenzioso, che ha attraversato a ritmo di ciuccio il Vallo di Diano e la Val d’Agri a maggio e a settembre, non è (solo) questo, ciascuno dei “pellegrini” che hanno percorso il tratto Atena/Viggiano per intero o parzialmente ha diversi motivi per iniziare il cammino, motivi detti e non detti, che si mettono in fila, passo dopo passo e che compongono il viaggio. Abbiamo la stessa meta da raggiungere insieme per scopi complementari e la raggiungiamo attraversando i luoghi, rendendoli sacri, imprimendoci i nostri passi, presidiandoli con lo sguardo, perdendoci nei paesaggi per ritrovarci stranieri a casa nostra. Che siano il proprio corpo o i propri luoghi, dall’alto della fatica del cammino, accerchiati dall’incendio del nostro essere lì, riconosciamo “a chi apparteniamo”.

«Camminare, che appare anacronistico nel mondo contemporaneo (…), è un atto di resistenza», scrive l’antropologo David Le Breton nelle prime pagine di Camminare. Elogio dei sentieri e della lentezza, e Il Cammino silenzioso è un piccolo atto di resistenza che, a distanza di circa settant’anni dalle campagne di ricerca demartiniane, ritrova i lucani che ancora stanno nella storia come se non ci stessero. Da contadini a cittadini di una terra nera che nutre chi vi specula e affama chi qui è nato, la questione dell’uso delle risorse, delle discrepanze tra diritti e soprusi, della necessità di trovare un santo a cui votarsi è scritta in faccia a chi vive sul più grande giacimento petrolifero su terraferma d’Europa.

Il silenzio necessario al cammino per poter ascoltare i sussurri delle persone, lo scorrere delle acque, i versi degli armenti e i rumori delle trivelle va rovesciato al ritorno. Occorre raccontare il paesaggio culturale, il rapporto tra la terra e gli uomini, per capire cosa sia la Lucania oggi. E questo rapporto si può capire solamente se ci si spoglia del ruolo quotidianamente rivestito, diventando una figura liminare che misura con i passi un luogo antropologico fatto di relazioni e identità in un tempo stabilito dal rito.

Il culto della Madonna Nera di Viggiano racconta il rapporto uomo/luogo, lucani/Lucania e ne rinnova ciclicamente il senso, per questo Ivan Di Palma dell’Asineria EquinOtium di Atena Lucana, a un mese dalle scorse elezioni regionali in Campania, ha voluto riannodare con un significato diverso il rapporto tra Vallo di Diano e Lucania chiedendo alla Madonna, che stava per essere salita sul Sacro Monte per rimanervi tutta la bella stagione, di superare le ipocrisie della politica affidandole la propria terra nelle mani.

Con Ivan e le sue due asine, dal 30 aprile al 3 maggio, siamo partiti io, Carlotta che è siciliana e Miriam, torinese. Abbiamo attraversato i Monti della Maddalena, calpestato uno dei più grandi “santuari dell’acqua” dell’Appennino Meridionale, giungendo, costeggiano il fiume Agri, ai piedi del Sacro Monte di Viggiano che abbiamo poi risalito fino alla sua cima (1725 m. s.l.m).

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Lungo il cammino siamo stati ospiti da interrogare che, a loro volta, interrogavano chi incontravano, per strada abbiamo trovato nuovi compagni di viaggio e persone disinteressate, Il Cammino silenzioso è diventato così la costruzione sociale di un confine labile che senza il passo degli asini avrebbe perso il ritmo giusto per ancorarsi alle antiche e moderne pietre miliari della terra lucana.

Astrid e Viola, le due giovani asinelle, le guide del cammino di maggio e anche di quello di settembre, hanno regolato i tempi del viaggio e avvicinato i curiosi che, inconsciamente, potevano accarezzare l’idea – simbolica e non – che muoversi e produrre senza il petrolio è cosa realizzabile. Dal 2 al 6 settembre, Astrid, Viola, Ivan, Dario (cilentano), Vincenzo (del Vallo di Diano) e io siamo ritornati sui passi del Cammino, osservando gli stessi luoghi mutati dalla fine dell’estate, con i frutti al posto dei fiori, con gli orti lavorati nei pressi dei luoghi di perforazione.

Attraversando faggete, querceti, macchia mediterranea, centri abitati e frazioni di campagna, abbiamo visto alzarsi in poche settimane un nuovo strano albero: il pozzo “Pergola 1”. Qui abbiamo avuto la fortuna di essere ospiti e di fare festa con i figli del petrolio, i giovani di Pergola che quando sono stati perforati i primi pozzi petroliferi in Basilicata non erano neppure nati, ragazzi e ragazze che forse ancora non sanno di essere le formiche, non le pecore, di questa terra.

Nell’ultimo tratto di cammino, sul Monte Volturino, la natura si è mostrata selvaggia, libera, indomita, come i cavalli e le mucche che qui pascolano incontrollati, padroni del mondo sotto un cielo che si fa scuro. A un tratto, tra due rocce, si apre un varco ed ecco la cappella sul Monte della Madonna Nera di Viggiano. La vediamo di spalle, lontani s’intravedono dei pellegrini. Il contrasto è fortissimo: da un lato la natura e dall’altro la cultura, siamo sulla linea di confine dell’umano.

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Ecco la meta, il viaggio è compiuto, lasciamo in dono alla Madonna pane impastato con grani antichi da Angelo Avagliano e le acque che abbiamo raccolto nei giorni di cammino. Pane e acqua, la penitenza e la purificazione, l’unione degli elementi e l’oro reale, la benzina per centinaia di migliaia di motori lucani: alberi, rovi, fontane, fiori, campi, case, imprese artigiane, allevamenti, vite che si dissetano.

Arriva lo spazio della festa, dell’incontro con gli altri pellegrini giunti a piedi da diversi paesi di Campania e Basilicata, tutti passati affianco ai pozzi di petrolio: le strade di pellegrinaggio acquistano senso diverso anche per chi non parte per raccontare come i luoghi mutino. Lo stesso accade alla Madonna portata in processione verso il santuario, che ritrova davanti ai suoi “occhi senza sguardo” (come la descrive Carlo Levi) i segni visibili di decenni di petrolizzazione: il Centro Olio Val d’Agri, i pozzi Monte Enoc 5, Monte Enoc Ovest 1, Monte Enoc 10, Alli 4, feticci del progresso di fronte alla potenza spirituale di un’icona che da secoli si carica del nero di una terra di viandanti smarriti.

 

 

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